La nullità degli atti processuali nel diritto civile

Dic 17, 2021 | Diritto Civile | 0 commenti

La nullità degli atti processuali nel diritto civile

La nullità, quale categoria di invalidità degli atti, è una sanzione che l’ordinamento ha previsto come conseguenza della violazione di norme di diritto sostanziale o processuale.

Si suole distinguere pertanto tra nullità riguardanti i negozi giuridici (contratti o atti unilaterali) e nullità aventi invece ad oggetto gli atti processuali, ossia quegli atti funzionali ad un processo ed in esso posti in essere.

In campo processuale, il legislatore ha preferito non richiamare la contrapposizione concettuale propria del diritto sostanziale, tra nullità e mera annullabilità, configurando invece una nozione di nullità specificatamente propria del diritto processuale.

Indice – La nullità degli atti processuali nel diritto civile

La nozione di ‘’nullità’’

La nullità degli atti processuali nel diritto processuale civile

La nullità degli atti processuali nel diritto civile

La nozione di ‘’nullità’’

La nullità, quale categoria di invalidità degli atti, è una sanzione che l’ordinamento ha previsto come conseguenza della violazione di norme di diritto sostanziale o processuale.

Si suole distinguere pertanto tra nullità riguardanti i negozi giuridici (contratti o atti unilaterali) e nullità aventi invece ad oggetto gli atti processuali, ossia quegli atti funzionali ad un processo ed in esso posti in essere.

In campo processuale, il legislatore ha preferito non richiamare la contrapposizione concettuale propria del diritto sostanziale, tra nullità e mera annullabilità, configurando invece una nozione di nullità specificatamente propria del diritto processuale.

La nullità è così presentata come oggetto di una pronuncia da parte del giudice, in mancanza della quale l’atto produrrà comunque i suoi effetti; una pronuncia che non si limita a rilevare l’inefficacia dell’atto, ma che di questa inefficacia è un elemento costitutivo.

Sotto questo profilo la figura della nullità delineata nel diritto processuale si avvicina alla figura dell’annullabilità propria del diritto sostanziale, la quale non opera di diritto ma deve essere oggetto di una pronuncia del giudice che, pertanto, assume natura costitutiva.

Sennonché, mentre nel diritto sostanziale la pronuncia di annullamento opera ex nunc, contrapponendosi alla pronuncia dichiarativa della nullità che opera invece ex tunc, nella disciplina degli atti processuali, la pronuncia con la quale il giudice dà atto della nullità opera con efficacia retroattiva, ossia ex tunc.

Si tratta, insomma, di una pronuncia che, da un lato, come quella di annullamento, è essenziale per l’inefficacia dell’atto, mentre, dall’altro lato, dichiara che l’atto non ha mai avuto efficacia, come è proprio della dichiarazione di nullità.

Nel diritto sostanziale un atto può considerarsi nullo quando è contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, ovvero quando manca di uno degli elementi che la legge considera quale contenuto essenziale dell’atto stesso.

In campo processuale, invece, la nullità dell’atto sussiste tutte le volte in cui lo stesso sia inidoneo al raggiungimento dello scopo prefissato, a causa della violazione della legge processuale.

L’art. 156 c.p.c., infatti, in campo civile afferma che la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è designato; nel diritto penale, l’art. 183 c.p.p., invece, ammette la sanatoria della nullità quando la parte si è avvalsa delle facoltà al cui esercizio è preordinato l’atto nullo.

Entrambe le norme sono ispirate al principio della sanatoria dei vizi di nullità per raggiungimento dello scopo, in considerazione del fatto che l’atto, ancorché invalido, ha ugualmente espletato la sua funzione.

Per scopo dell’atto, tuttavia, non si intende quello contingente e concreto perseguito dall’autore, ma lo scopo assegnato all’atto astrattamente dalla legge e, cioè, la funzione che l’atto assume all’interno del processo in cui è compiuto.

Per il principio di tassatività, inoltre, la nullità di un atto, sia essa di diritto sostanziale o processuale, consegue esclusivamente alla presenza di vizi specificatamente predeterminati dal legislatore e considerati particolarmente gravi da determinare l’invalidità dell’atto e, cioè, l’incapacità dell’atto di assolvere alla propria funzione.

In campo sostanziale, è l’art. 1419 c.c. ad individuare in via generale le ipotesi di nullità degli atti; nel diritto processuale, l’art. 156 c.p.c. afferma che non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la stessa non è comminata dalla legge, mentre l’art. 177 c.p.p. sostiene che l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità solo nei casi previsti dalla legge.

Da quanto detto può affermarsi che la nullità di un atto processuale sussiste tutte le volte in cui l’atto sia incapace di perseguire lo scopo attribuitogli dalla legge, per effetto della sussistenza del vizio indicato dalla norma, cioè di un vizio che, secondo una preventiva valutazione del legislatore, impedirebbe all’atto di assolvere la funzione alla quale è preordinato.

La nullità degli atti processuali nel diritto civile

La nullità degli atti processuali nel diritto processuale civile

La disciplina degli atti del processo presenta una duplice caratteristica che consente di distinguerla da quella dei negozi e degli atti di diritto sostanziale: da un lato, le forme degli atti processuali sono disciplinate più dettagliatamente; mentre, dall’altro, la legge processuale non attribuisce alcuna rilevanza, ai fini della validità dell’atto, alla volontà del suo autore.

Ne consegue che l’unico elemento preso in considerazione dal legislatore per accertare la validità dell’atto in campo processuale è l’osservanza delle forme imposte dalla legge.

La ragione che sta alla base di questa diversità è da rinvenire nella necessità che la validità e l’efficacia di ciascun atto processuale dipenda da dati obiettivi e facilmente controllabili come appunto gli elementi formali, ciò sulla base della rigida concatenazione esistente tra gli stessi per la quale la validità di ogni atto dipende dalla validità e dall’efficacia di quelli che lo precedono.

Secondo l’art. 156 c.p.c. la nullità non può essere pronunciata per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la stessa non è espressamente comminata dalla legge; può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.

In ogni caso, la nullità non può essere dichiarata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.

Elemento essenziale per la validità di un atto processuale, pertanto, è il raggiungimento dello scopo al quale è preordinato (per esempio, scopo della citazione è ottenere la convocazione del convenuto);

ne deriva che, nonostante la presenza del vizio indicato dal legislatore, la nullità non può essere comminata qualora l’atto abbia comunque assolto la funzione alla quale era preordinato (sanatoria dei vizi di nullità per raggiungimento dello scopo).

Prevedendo tassativamente tutte le ipotesi in cui la nullità può essere effettivamente dichiarata, il legislatore ha così effettuato una preventiva valutazione di tutti quei vizi la cui presenza impedirebbe all’atto di assolvere la sua funzione;

ciò non toglie, tuttavia, che per tutti quegli atti per i quali non è prevista una forma particolare, ex art. 121 c.p.c., il giudice possa comminare la nullità, in mancanza degli elementi necessari per il raggiungimento dello scopo, indipendentemente da un’espressa previsione legislativa (art. 156, comma 2, c.p.c.).

Per forma dell’atto giuridico deve intendersi la sua estrinsecazione, ossia il suo manifestarsi in un comportamento esteriore oggettivamente individuabile ed apprezzabile; alla forma dell’atto deve invece contrapporsi il suo contenuto, ossia l’oggetto dell’estrinsecazione.

Tale contrapposizione non è tuttavia così netta, posto che la legge in alcuni casi, si pensi alla sentenza o all’atto di citazione, nel dettare gli elementi formali dell’atto, specifica cosa esso deve contenere e quindi il suo contenuto; si parla in questo caso di forma-contenuto.

L’art. 157 c.p.c. afferma che la nullità non può pronunciarsi senza istanza di parte, se la legge non dispone che sia pronunciata d’ufficio;

l’istanza può provenire solo dalla parte nel cui interesse è posto il requisito mancante, semprechè questa non vi abbia rinunciato o vi abbia dato causa, e deve essere contenuta nella prima difesa successiva all’atto o alla notizia dello stesso.

L’art. 158 c.p.c., per contro, afferma che sono rilevabili d’ufficio e non sanabili le nullità concernenti la costituzione del giudice o l’intervento del p.m., salva la disposizione dell’art. 161 c.p.c.

Far salva la disposizione di cui all’art. 161 c.p.c., significa dire che anche questa insanabilità trova il suo limite nell’onere di far valere il vizio nei termini e con le modalità del mezzo di impugnazione, e che, conseguentemente, l’eventuale mancata proposizione dell’impugnazione determina la sanatoria del vizio.

Secondo l’art. 161 c.p.c., infatti, la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per Cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione, fatto salvo il caso in cui la sentenza manchi della sottoscrizione del giudice, perché in tale ipotesi la sentenza non è nulla bensì inesistente.

L’articolo sancisce così il principio dell’assorbimento dei vizi di nullità nei motivi di gravame, in base al quale i vizi di nullità che affliggono la sentenza, sia che investano direttamente la sentenza stessa e sia che investano atti precedenti ripercuotendosi fino alla sentenza ex art. 159 c.p.c., possono essere fatti valere solo con il mezzo di impugnazione previsto per quella sentenza, convertendosi in un motivo che fonda l’impugnazione.

Tale norma si ritiene applicabile a tutti quei provvedimenti ai quali, sebbene diversi dalla sentenza, l’ordinamento abbia attribuito l’idoneità al giudicato attraverso l’esaurimento della possibilità di impugnazione con i mezzi dell’appello o del ricorso per cassazione o, eventualmente, con mezzi diversi.

Dagli articoli menzionati si desume così la distinzione tra nullità assolute e nullità relative: sono assolute quelle nullità che, data l’importanza del vizio che le determina, sono insanabili e rilevabili d’ufficio dal giudice; sono relative, invece, quelle nullità sanabili e rilevabili anche su istanza di parte.

Come affermato dalle disposizioni richiamate tutte le nullità civili sono essenzialmente relative, ad eccezione per quelle espressamente previste dall’art. 158 c.p.c. che, concernendo l’autorità giudiziaria (giudice o p.m.), hanno carattere assoluto.

Per il principio di estensione, la nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, né di quelli successivi che ne sono indipendenti, e la nullità di una parte dell’atto non si estende alle parti che ne sono indipendenti; inoltre, se il vizio impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti ai quali è idoneo (art. 159 c.p.c.).

Naturalmente, la nullità di un atto processuale si estende a quello successivo solo nel caso in cui quest’ultimo sia dipendente dall’atto nullo, nel senso che il primo atto sia non solo cronologicamente anteriore, ma anche indispensabile per la realizzazione di quello che segue.

Il giudice che dichiara la nullità, se possibile, deve disporre la rinnovazione degli atti ai quali la nullità si estende; se la nullità è comunque imputabile al cancelliere, all’ufficiale giudiziario o al difensore, le spese della rinnovazione sono a carico del responsabile, il quale potrà anche essere condannato al risarcimento del danno (art. 162 c.p.c.).

Dalla nullità va tenuta distinta la mera irregolarità dell’atto; con questa nozione si indicano, generalmente, i casi in cui il difetto del requisito, in quanto non pregiudicante l’idoneità dell’atto al raggiungimento del suo scopo, non dà luogo a nullità.

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