Risarcimento e indennizzo – Qual è la differenza?

Set 3, 2021 | Diritto Civile | 0 commenti

Risarcimento e indennizzo – Qual è la differenza?

Ai sensi dell’art. 1381 c.c., colui il quale promette il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare il promissario nel caso in cui il terzo non si obblighi ovvero non compia il fatto promesso.

Risarcimento e indennizzo – Qual è la differenza?

L’istituto costituisce diretta espressione del principio di relatività degli effetti del contratto, in base al quale il negozio non produce effetti se non per le parti contraenti.

Il terzo, infatti, non è tenuto ad adempiere la prestazione promessa e, pertanto, del suo inadempimento ne risponderà solo il promittente.

In dottrina e giurisprudenza si discute, però, in ordine alle obbligazioni che da tale promessa discendono in capo al promittente ed, in particolare, se sorga in capo a quest’ultimo l’obbligo di convincere il terzo ad adempiere.

Risarcimento e indennizzo – Qual è la differenza?

Secondo l’opinione tradizionale, è chiaro che il promittente debba attivarsi al fine di persuadere il terzo a compiere la prestazione promessa.

Dalla promessa del fatto del terzo deriverebbe, dunque, una obbligazione di fare, ossia l’onere per il promittente di fare tutto il possibile affinché il terzo adempia. 

Ne deriva, pertanto, che il promittente potrà essere considerato responsabile nei confronti del promissario solo qualora non abbia posto in essere il comportamento richiesto, ossia non abbia realizzato quell’opera di persuasione e convincimento del terzo.

Al contrario, nessuno addebito potrà essergli mosso nel caso in cui, nonostante un comportamento improntato alla diligenza del buon padre di famiglia, non sia riuscito a convincere il terzo ad adempiere la prestazione oggetto della promessa.

Risarcimento e indennizzo – Qual è la differenza?

In quest’ottica, l’indennizzo rappresenta il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento dell’obbligazione di fare gravante sul promittente, nel caso in cui la prestazione promessa rimanga inadempiuta.

Contro tale orientamento si pone la giurisprudenza di legittimità più recente, nell’intento di fornire una distinzione tra la promessa del fatto del terzo e la vendita di cosa altrui.

In quest’ultima, infatti, il venditore si impegna a far acquistare al compratore la proprietà della cosa, assumendo così l’onere di attivarsi affinché il terzo gli venda la cosa;

e ciò a differenza di quanto avviene invece nella promessa del fatto del terzo, nella quale nessuno obbligo di fare grava sul promittente, il quale si limita a garantire il pagamento di un indennizzo nel caso in cui il terzo non compia la prestazione promessa.

Risarcimento e indennizzo – Qual è la differenza?

In secondo luogo, l’indennizzo di cui all’art. 1381 c.c. non può essere considerato come una vera e propria forma di risarcimento del danno e da questo deve essere tenuto distinto.

Il risarcimento, infatti, implica la totale riparazione dei pregiudizi subiti dal danneggiato e presuppone la sussistenza di un comportamento illegittimo quale causa del danno;

l’indennizzo, al contrario, costituisce l’equivalente monetario della mancata realizzazione dell’interesse del promissario ed esclude la necessità di una condotta illecita.

Sulla base di tali considerazioni, parte della dottrina esclude che dalla promessa del fatto del terzo discenda una obbligazione di fare in capo al promittente, e che dunque l’indennizzo di cui alla norma in esame costituisca il risarcimento del danno garantito al promissario per inadempimento di tale obbligazione. 

Secondo tale orientamento, in particolare, dalla promessa del fatto del terzo discenderebbe in capo al promissario solo l’onere di pagare l’indennizzo in caso di inadempimento del terzo. Il promissario, pertanto, dovrà essere considerato responsabile nel caso in cui il terzo non compia la prestazione promessa,

Indipendentemente dal fatto di aver agito o meno al fine di convincere il terzo ad adempiere.

Dalla promessa del fatto del terzo, dunque, conseguirebbe solo una obbligazione di dare, ossia di garantire il promissario in caso di inadempimento del terzo.

Si tratterebbe, nello specifico, di una garanzia atipica simile a quella assunta dall’assicuratore per i danni subiti dall’assicurato, in quanto effettuato il pagamento il promittente non potrà sicuramente rivalersi nei confronti del terzo.

Così ragionando, però, si finisce per ammettere una sorta di responsabilità per fatto altrui, in quanto il promittente sarà tenuto a pagare l’indennizzo a seguito dell’inadempimento di una obbligazione gravante sul terzo, e non invece a seguito del mancato adempimento di un obbligo sullo stesso incombente.

A ciò però si obietta che, in realtà, l’obbligo di pagare l’indennizzo non deriva dall’inadempimento di una obbligazione altrui, bensì dal comportamento del promittente, il quale deve essere ritenuto responsabile nei confronti del promissario per aver in esso generato l’affidamento incolpevole circa la realizzazione della prestazione promessa.

E’ chiaro, infatti, che qualsiasi promessa comporta in colui che la riceve un certo affidamento in ordine al suo compimento, dal quale deriva in capo al promittente l’onere di risarcire il danno subito dal promissario per aver legittimamente confidato nella esecuzione della prestazione promessa.

Non si tratterebbe, dunque, di una forma di responsabilità per fatto altrui, ma di una responsabilità per fatto proprio, derivante appunto dalla violazione del legittimo affidamento ingenerato nella controparte.

Anche contro tale orientamento si pongono però importanti obiezioni: l’interesse del promissario, si dice, non è quello di ottenere il pagamento dell’indennizzo, quanto piuttosto quello di ricevere la prestazione promessa; n

on è pertanto concepibile una promessa del fatto del terzo dalla quale non discenda per il promittente l’onere di attivarsi affinché il terzo compia la prestazione promessa.

Ciò premesso, secondo l’opinione ad oggi dominante dalla promessa del fatto del terzo discenderebbero due distinti obblighi, uno di dare avente natura accessoria e l’altro di fare, avente invece carattere principale.

Sarà quindi onere del promittente attivarsi al fine di convincere il terzo a compiere la prestazione e, nello stesso tempo, quello di corrispondere l’indennizzo di cui all’art. 1381 c.c. nel caso in cui tale prestazione rimanga inadempiuta.

L’obbligazione di fare sarebbe, in particolare, una obbligazione di risultato, il cui assolvimento presupporrebbe il conseguimento da parte del promissario della prestazione promessa dal promittente, in mancanza del quale sarà onere del promittente adempiere l’obbligazione accessoria, ossia corrispondere l’indennizzo.

Chiarito questo, si tratta di stabilire quale sia il rapporto tra i due diversi obblighi che traggono la loro fonte nella promessa. 

In primo luogo, si deve escludere che in tale ipotesi si realizzi una sostituzione dell’oggetto dell’obbligazione.

Tale sostituzione è infatti contemplata solo in due casi, ossia nella datio in solutum e nella novazione oggettiva, delle quali non ricorrono i presupposti.

Nella datio in solutum, infatti, le parti si accordano per la sostituzione della prestazione che costituisce oggetto dell’obbligazione in virtù di un accordo successivo alla nascita della stessa.

Qui, invece, le due prestazioni sono già presenti ab origine e la scelta è riservata al promittente.

La novazione oggettiva, invece, a differenza della fattispecie in parola, costituisce un modo di estinzione delle obbligazioni diverso dall’adempimento, caratterizzato dalla sostituzione dell’obbligazione originaria con una nuova diversa per oggetto.

Qui, al contrario, non si ha estinzione del rapporto obbligatorio originario e, quindi, novazione.

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