Divorzio collaborativo – Riflessioni sulla pratica

Ott 5, 2021 | Divorzio / Separazione | 0 commenti

Divorzio collaborativo – Riflessioni sulla pratica

Non ho ancora sperimentato la pratica collaborativa, tuttavia due sono i principi che più di ogni altro mi hanno colpito, ciascuno in maniera diversa.

Il primo – molto positivo: la trasparenza. Trovo questo principio insolito e molto “onesto”.

Si tratta di quell’onestà che dovrebbe sempre orientare i comportamenti e le relazioni umane; a maggior ragione tra persone che hanno condiviso un percorso di vita, lungo o breve che sia; maggiormente in presenza di figli.

Divorzio collaborativo – Riflessioni sulla pratica

Si tratta di un principio difficilmente applicabile in un contenzioso ordinario, ove opera il diverso principio della disponibilità della prova, sicché ciascuna parte decide sull’opportunità o sulla convenienza di produrre o non documenti.

Quello della trasparenza è un principio a suo modo rivoluzionario e spiazzante per la sua portata.

Fonda le sue radici in una concezione profonda del senso di responsabilità e amplifica enormemente il concetto di buona fede (spesso predicato, assai meno praticato).

Il secondo: mandato limitato. Come il precedente spiazzante, ma non altrettanto immediatamente comprensibile.

Per comprenderlo è necessaria una più attenta riflessione. All’esito della quale si può arrivare a comprendere la sua importanza ma, a mio parere, non la sua imprescindibilità.

Dalla sua applicazione deriva una maggiore tutela dei diritti delle parti ove si verificasse il fallimento della pratica collaborativa; tanto più se l’impossibilità della sua prosecuzione si manifestasse in una fase avanzata della pratica stessa.

Mi chiedo, però, se lo si possa superare pur senza perdere le garanzie di tutela che esso offre.
Prima considerazione.

Può essere difficile per le parti rinunciare al proprio difensore in una fase ulteriormente critica, dalla quale può derivare l’acuirsi del conflitto:

1) trovare un altro avvocato;

2) nuova narrazione – magari enfatizzata ad arte – dei fatti;

3) trovare ogni espediente per dimostrare in sede processuale ciò che – a proprio favore – fosse emerso nel corso della interrotta pratica collaborativa in virtù del principio della trasparenza e che come tale non

potrebbe trovare accoglienza nel processo (ritengo, infatti, non impossibile che le parti, con l’aiuto di un nuovo difensore, trovino il modo di sfruttare informazioni apprese nel corso degli incontri collaborativi); ecc…
Seconda considerazione.

Coniare un nuovo principio. Potrebbe rivelarsi utile mantenere lo stesso difensore.

Ne potrebbe derivare la riaffermazione dei principi di buona fede, di trasparenza e anche di riservatezza a patto che, anche nel contenzioso:

a) i difensori restino vincolati al principio della riservatezza;

b) non possano utilizzare informazioni né documenti appresi nel corso degli incontri collaborativi.

Anche questa clausola dovrebbe, a mio parere, comparire nell’accordo di partecipazione.

Le cui regole cardine – in virtù del principio dell’autonomia negoziale – potrebbero affermarsi anche nel corso della fase giudiziale.

Terza considerazione (meno rilevante).

La conseguenza certamente esasperata del mandato limitato potrebbe essere espressa in questo modo: O fai come ti dico o trovi un altro avvocato.

Ciò avviene frequentemente e anche legittimamente.

Ma che si inserisca tale condizione in un ambito (quello del contenzioso familiare) in cui vi è tanto di più rispetto al puro “diritto” non mi pare coerente con i principi che governano la pratica collaborativa.

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